“Critica della ragione manageriale” – Luigino Bruni

Dopo La civiltà della cicogna (recensione qui), Luigino Bruni ritorna con un altro saggio, Critica della ragione manageriale (e della consulenza),una lucidissima analisi sulla pervasiva cultura economicista e manageriale che sta caratterizzando questo primo quarto di secolo.

“L’arte delle relazioni – scrive Bruni – è il mestiere più importante del vivere, nella famiglia e nella politica, nelle comunità e nella scuola, nell’amicizia, nelle religioni, nella vita economica ed organizzativa. Le relazioni sono centrali anche nel mondo del lavoro, quindi nelle imprese”. Bruni, economista e storico del pensiero economico, ricorda, infatti, che proprio il “capitale relazionale” è il primo capitale di ogni impresa, “il terreno su cui poggiano e si generano tutti gli altri capitali aziendali”.

Ma negli ultimi decenni, le relazioni, i rapporti tra le persone stanno cambiando con una rapidità impressionante: mentre la società pare smarrita, l’economia e il business stanno offrendo nuove risposte. Scrive ancora Luigino Bruni: “…in una crescente siccità di virtù civili, le imprese si stanno creando nuove virtù, sperando di poter continuare a vivere. E’ probabile che presto le virtù economiche diventeranno le virtù dell’intera vita sociale, che la sola etica sarà quella aziendale…”.

Questa è più di un’ipotesi, in verità, in quanto è lo stesso Bruni che, nel corso del libro, osserva: “…i principi del management, quindi della razionalità, della misurabilità e della calcolabilità, dell’efficienza, della leadership e della meritocrazia stanno entrando nella vita politica, nella scuola, nel non-profit, nelle comunità, nella gestione delle amicizie, nelle chiese, quindi ovunque”.

Quale risvolto potrebbe avere questo cambiamento? “La grande tentazione delle imprese, allora, diventa il pretendere il monopolio sul carattere morale e le virtù dei loro lavoratori, e se e quando lo fanno non genereranno mai persone felici come dicono e (forse) vogliono, ma solo marionette meccaniche con o senza fili”.

Per Bruni c’è tuttavia un limite fondamentale in questa ideologia: “Le virtù economiche sono autentiche virtù-eccellenza se e quando accompagnate e precedute dalle virtù che hanno nella gratuità il loro principio attivo, un enzima che si trova fuori dalle imprese”. E’ la gratuità l’anello debole, anzi mancante, dell’ideologia aziendale manageriale, il limite invalicabile che mantiene su due piani diversi l’essere lavoratori e l’essere uomini. “Non saremo mai lavoratori eccellenti se non impariamo, da qualche parte, che siamo più grandi del nostro lavoro, che valiamo più degli stipendi e degli incentivi”, una delle parole chiave, quest’ultima, anzi per Bruni uno dei dogmi  della nuova religione del business.

“L’ideologia manageriale sta manipolando parole come merito, stima, riconoscimento, comunità, vocazione, missione, perché le usa senza gratuità e, quindi, senza responsabilità per i costi emotivi e le ferite relazionali che l’ambivalenza di queste parole grandi inevitabilmente produce”.

Come l’uomo di ogni tempo, anche i contemporanei vivono alla ricerca della felicità, ma “…per vivere bene c’è bisogno della creazione di un valore diverso dal solo valore economico-finanziario, perché sulla Terra ci sono valori che hanno valore perché non hanno prezzo…”.

Con Critica della ragione manageriale, Luigino Bruni sembra ricomporre i pezzi dell’umanità disorientata e confusa del nostro tempo, spesso plagiata dalle sirene di una logica panta-aziendale che invade sfere private e sociali mai fino ad ora toccate. Urge da parte di ciascuno e delle istituzioni una riflessione seria ed approfondita ed un deciso cambiamento che riporti ogni attività umana ed ogni aspetto della nostra società nei binari che gli sono propri.

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