“When Markets Collide” – M. El-Erian

Questo è il secondo libro di El-Erian che recensisco sul nostro blog (qui il primo). Rispetto al primo, più divulgativo, questo saggio è molto più tecnico e si rivolge a un pubblico che abbia già una certa dimestichezza con il mondo finanziario. L’argomento riguarda la grande crisi finanziaria esplosa nell’estate del 2007 e protrattasi negli anni successivi (il saggio è del 2009). Sebbene siano passati quasi 14 anni da quella crisi, le considerazioni di El-Erian sono sempre attuali. E questo fa male.

Fa male, perché vuol dire che in oltre un decennio non siamo stati in grado di trovare le risorse e la strada per uscire dalla crisi. O meglio, alcuni paesi (specie in area anglosassone) sono riusciti a rialzarsi in modo discreto, dimostrando una resilienza e un dinamismo che in altre aree del Vecchio Continente ci scordiamo.

Fa male, perché questo decennio di mancata crescita corrisponde a un decennio di speranze frustrate, sogni irrealizzati e potenzialità bruciate.

Fa male, perché questo decennio bruciato ha creato una nuova “lotta di classe anagrafica” tra vecchi privilegi e nuove incertezze; tra chi ha potuto contare sul proprio peso politico per arroccarsi sui privilegi conquistati a scapito delle nuove generazioni.

Fa male, perché negli scorsi anni i nostri rappresentanti (la classe politica dello “zero virgola”) ha accettato senza reagire un nuovo orizzonte di mediocrità, stagnazione e inevitabile declino, concentrandosi su vuote lotte ideologiche e sulla guerra dei like.

Fa male, perché non ci sono segni di un cambio di marcia, ma si continuano a disprezzare competenza e preparazione in nome degli -ismi di turno.

Fa male, perché se non avessimo sprecato questi anni, forse la pandemia ci avrebbe colti meno impreparati sia come paese che come cittadini.

Fa male, perché questa crisi non è (come si vorrebbe credere a volte) una crisi di bilanci e di numeri scollegati dalla realtà, ma una crisi di persone che soffrono perché incapaci di pensare un futuro.

Fa male… molto male. Di un dolore sottile e penetrante, che riconosco spesso nell’amarezza di tanti coetanei, nascosta a stento da un sorriso di facciata (provate a chiedere a un giovane come si immagina il futuro…). E forse sta proprio in questo la soluzione. Andare avanti. Come seminatori di lacrime e mietitori di incertezza. Conservando gelosamente il proprio dolore e collezionando quello altrui. In attesa che da questo dolore (espiatorio? purificatore?) nascano i germi di una rinascita.

Un rinascita vera. Non il nuovo rinascimento che chi non vomita quando ne sente parlare è bravo. Una rinascita morale e materiale al tempo stesso, individuale e collettiva. Una rinascita che oggi non si riesce a vedere, forse nemmeno a immaginare. Ma che si presenta alla mente come unica via d’uscita.

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