Nell’ultima settimana mi sono dedicato alla lettura di due libri scritti da Chiara Castellani: Una lampadina per Kimbau (2004) e il più recente Savana on the road (2017, già recensito su questo blog). Entrambi raccontano dell’attività medica svolta dalla Castellani come missionaria laica in Nicaragua e in Congo (dove risiede attualmente). Raccolgono – per usare le parole dell’autrice – “le mie storie di chirurgo di guerra”: si tratta quindi di due diari, in cui la Castellani racconta la quotidianità di due Paesi poverissimi e, appunto, in guerra.

La Castellani si definisce “chirurgo di guerra”, ma un’etichetta del genere è sicuramente riduttiva. Certo, è effettivamente un chirurgo di guerra (potremmo dire, in maniera più generica, un medico a tutto tondo: chirurgo, ma anche ginecologa, pediatra, geriatra, infettivologa…), ma sia in Nicaragua sia in Congo è soprattutto una figura fondamentale nella lotta per l’affermazione del diritto alla salute. Lotta portata avanti non solo contro (e nonostante) le violenze e le ingiustizie che deve affrontare in loco tutti i giorni, ma anche contro la parte ricca del mondo rea di sfruttare le risorse naturali e di sovvenzionare e alimentare gli scontri etnici locali per i propri interessi economici.

La Castellani non risparmia niente. È cruda nel racconto delle malattie o delle ferite che cerca di curare con i pochi mezzi che ha a disposizione. Ed è schietta e diretta nell’alzare la sua accusa contro l’Occidente benestante. Eppure non si arrende, non abbandona quei luoghi. Perché? Perché è proprio in quei luoghi che incontra un’umanità autentica, accogliente, poverissima ma pronta a mettere in gioco il niente che possiede. Trova Dio in quell’umanità, trova i valori cristiani veramente e intimamente vissuti. Nella guerra, nella povertà, nella fatica, nel dolore, nel fondo del fondo, Chiara Castellani, chirurgo di guerra e missionaria laica, trova la pace e la felicità.