“Orestea” – Eschilo

L’Orestea è l’ultima trilogia di tragedie di Eschilo, scritta due anni prima della morte dell’autore, avvenuta nel 456 a.C..

Nella prima tragedia, l’Agamennone, Clitennestra uccide il marito, Agamennone appunto, tornato da Troia, perché colpevole di aver sacrificato la figlia Ifigenia per placare la dea Artemide e poter così partire per Troia con il favore divino.

Nel secondo libro, le Coefore, Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra, con l’aiuto della sorella Elettra, vendica il padre uccidendo la propria madre ed il suo amante e complice Egisto.

Nell’ultima tragedia, infine, le Eumenedi, le Erinni, inseguono e perseguitano Oreste, che, rifugiatosi presso Atene, viene processato ed assolto dall’Areopago, il tribunale ateniese.

Quest’ultima tragedia segna il passaggio dal mondo arcaico, basato su una religiosità oscura e violenta (rappresentata dalle Erinni) e su una giustizia primitiva, al mondo moderno, fondato sulla giustizia, sulla razionalità e sulle istituzioni democratiche.

Eschilo, con queste tragedie, volle in primo luogo indicare nella guerra l’origine di tutti i mali. La morte che pervade le opere, infatti, è conseguenza della scelta iniziale di Agamennone di sacrificare la figlia, perché desideroso di partire per far guerra alla città di Troia.

Ma perché leggere oggi delle tragedie di 2500 anni fa? Perché sono ancora estremamente moderne. In esse emergono, infatti, dei concetti fondamentali per la nostra vita personale e sociale. Prima di tutto il concetto di dolore che sta alla base della conoscenza, infatti più volte nel testo viene evidenziato che la giustizia (Dike) concede la conoscenza solo a chi ha sofferto (πάθει μάθος). Un secondo concetto importante riguarda la visione della giustizia e della polis come l’istituzione che la garantisce. Clitennestra, uccidendo Agamennone, esercita una giustizia arcaica, la vendetta; lo stesso fa Oreste uccidendo la madre. Ma quando Oreste, perseguitato dalle Erinni, vuole spezzare questa catena di sangue familiare, si rivolge ad un’istituzione, il tribunale ateniese dell’Areopago, nato proprio per arginare il fenomeno dei delitti di sangue in famiglia. Dopo oltre due millenni, il messaggio di Eschilo è ancora forte e purtroppo attuale.

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