“Norwegian wood. Tokio blues” – Haruki Murakami

Norwegian wood, dello scrittore giapponese Murakami, è un romanzo di formazione molto introspettivo, apparentemente semplice, ma in realtà ricco di intrecci e di sfaccettature, complesso, com’è spesso complicato e labirintico l’animo umano.

La storia, di per sé, sembrerebbe lineare. Toru Watanabe, giovane diciassettenne, si trova diviso tra i sentimenti di profondo affetto che prova verso due ragazze, Naoko e Midori. In realtà, i problemi giacciono più a fondo. Naoko è stata segnata da due dolorosi avvenimenti: la morte della sorella, quando lei era ancora bambina, e quella del fidanzato Kizuki, entrambi suicidi. Kizuki, tra l’altro, era anche il miglior amico di Toru. La relazione tra Naoko e Turu è difficile, perché sul loro amore aleggia il ricordo di Kizuki ed il senso di colpa dei “salvati” rispetto alla sorte dei “sommersi”. E poi arriva Midori, con la sua irruente vitalità, la sua leggerezza, a volte un pizzico di irresponsabilità, che le servono a superare i dolori familiari. E per Toru Watanabe inizia la stagione delle scelte, della responsabilità, del rispetto: un lungo ed accidentato cammino per diventare adulto, un cammino costellato di errori, di cadute, di profonde riflessioni sull’esistenza, fatta di vita e di morte, insieme.

In Norwegian wood si intrecciano molteplici tematiche: il disagio giovanile e personale, la depressione, la malattia, la morte, ma anche la sessualità, la voglia di vivere, l’amicizia, l’amore. Nessuno di questi temi prevale sugli altri, anzi l’abilità dell’autore consiste nel fonderli in una storia complessivamente realistica e credibile, cui fa da sfondo il Giappone di fine anni ’60, con il contorno di rivolte studentesche e sociali, appena accennate, ma che riverberano perfettamente il tormento interiore del protagonista.

E’ il primo libro che leggo di Haruki Murakami e devo dire che la scrittura dell’autore giapponese lascia il lettore occidentale un po’ disorientato. Descrizioni minuziose, che concedono poco spazio all’immaginazione e rendono il ritmo narrativo molto lento, a tratti quasi monotono. Lo stesso effetto viene prodotto dai dialoghi, spesso lunghi ed insistiti, benché intensi e profondi. A volte, poi, la narrazione si potrebbe definire “dispersiva”, in quanto lo scrittore introduce dei racconti nel racconto, ad esemplificare magari il contesto di esperienze da cui proviene un personaggio. Ma, alla fin fine – devo ammettere – la storia cattura il lettore ed il libro si fa leggere con vero interesse fino all’epilogo finale.

Norwegian wood racconta una storia per nulla banale e Murakami è uno scrittore abile e sicuro.

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