“Lo sviluppo dell’economia italiana” – Augusto Graziani

Il saggio di Graziani mette alla prova il discernimento di chi legge, perché è sempre a metà strada tra saggio accademico e saggio di opinione. Dopo aver presentato i fatti, Graziani li interpreta (e fin qui niente di strano), ma li interpreta alla luce di una precisa ideologia. È proprio questo che richiede al lettore discernimento: è necessario, infatti, distinguere i fatti dalle opinioni e, ancora di più, dalle opinioni frutto di convinzioni ideologiche. Questo non vuol dire che Graziani sia volutamente tendenzioso o manchi di rigore, ma fin dalle prime pagine è evidente una precisa impostazione interpretativa che anche un neofita come chi scrive ha saputo cogliere (e confermare poi con una rapida ricerca online sull’autore).

Parliamo di quest’ideologia allora. Graziani adotta spesso un’impostazione marxista nell’analisi dello sviluppo economico italiano, tratteggiato seguendo lo scontro tra “padronato” e “lavoratori”. Questa è di per sé un’impostazione legittima (anche se sacrifica la agency individuale), ma con determinate conseguenze: una certa ipercritica verso la classe dirigente della neonata repubblica (il tandem Einaudi-De Gasperi per intenderci) che pur con tutti i difetti ha avuto il merito (più unico che raro in Italia) di portare a un boom economico; un occhio di riguardo per i sindacati e la pianificazione economica centrale; una critica serrata all’Unione Europea.

Questo terzo aspetto può forse sorprendere alla luce dell’identità europeista della sinistra liberal contemporanea. Graziani, invece, critica la perdita di sovranità monetaria e fiscale frutto dei Trattati di Maastricht: «Da un lato, l’ingresso nell’Unione monetaria priva le autorità monetarie della possibilità di utilizzare il cambio estero come strumento, mentre la creazione della Banca centrale europea sottrae loro anche il controllo della quantità di moneta. Dall’altro, l’integrazione economica mondiale espone l’industria italiana alla concorrenza sempre più serrata proveniente sia dai paesi tecnologicamente più avanzati, sia da paesi aventi costi del lavoro storicamente più bassi. […] Ne sono conseguenza inevitabile l’arretramento dei redditi da lavoro e l’accrescimento delle disuguaglianze». Se parole simili (d’accordo… i concetti più che le parole…) sembrano riecheggiate da quelle di un Salvini di turno è perché lo sono.

Considerazioni finali? Quando si affronta un argomento è bene spaziare e confrontarsi anche con autori che la pensano in modo molto diverso: non si sarà d’accordo con tutti, ma almeno sarà più difficile cadere in incrostazioni ideologiche.

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