“L’Inféran” – Marco Moretti

L’incontro con questo libro è avvenuto per puro gioco, anche se di gioco didattico si è trattato.

Mentre con i ragazzi a scuola si stava parlando di Dante Alighieri e della Divina Commedia, cercavo di focalizzare la loro attenzione sulla lingua usata dal poeta, il volgare fiorentino, e un po’ per divertirli e divertirmi (anche i prof. ogni tanto hanno bisogno di distrarsi), li ho così “provocati”: “Pensate, ragazzi, come sarebbe stato scritto il poema di Dante, se il divin poeta fosse nato a Venezia o a Roma o a Napoli o a Palermo…e così via!”. Ho preso le prime due terzine del Canto I dell’Inferno e mi sono messo a recitarle con una marcata ed improponibile cadenza veneta: il finimondo in classe ed interessate richieste di bis in altri dialetti.

Riportata, non senza fatica, un po’ di pace in aula, ecco l’idea. Forse qualcuno ci ha già pensato?! Una veloce ricerca in internet e si è aperto un mondo: esistono “traduzioni” dell’immortale poema praticamente in tutti i dialetti d’Italia, a partire proprio da una pubblicazione del 1875, in lingua veneta… A meza strada dela vita umana / Me son trovà drento una selva scura, / Chè persa mi g’avea la tramontana… Fantastico!

La mia è una scuola di confine, dove le “lingue minoritarie” si mescolano e si confondono, ma in cui si distingue una netta prevalenza basso mantovana. Ebbene sì: esiste una “libera interpretazione in dialetto mantovano della bassa dell’Inferno di Dante”, quello che faceva e fa al caso mio.

Lo scrittore Marco Moretti, non a caso docente di Scuola Secondaria di Primo Grado, ha fatto, secondo me, un piccolo miracolo: ha parafrasato fedelmente il testo poetico dantesco, facendo in modo che il racconto, seppur in dialetto, non perdesse di intensità, di ricchezza, di vivacità e varietà di toni e colori. I personaggi danteschi vengono riproposti da Moretti con una familiarità ed una spontaneità che li riporta in vita. Così, ad esempio, si rivolge Caronte alle anime: Veh danà…sté mia pansà d’andà in an bèl sìt e li definisce li pösé bröti parsùni dal mond, marsi dèntar ē föra. Mentre il rimprovero a Dante si conclude con un bonario …cùsa fèt chē in mès? Vō via d’anchè pütìn.

L’Infèran di Moretti non è una lettura facile (leggere il dialetto richiede sempre uno sforzo particolare), ma è veramente stimolante ed arricchente.

Per concludere, faccio mio e condivido il giudizio di Alfredo Calendi, riportato nell’introduzione al volume: sorprende in questo testo una ricchezza lessicale insospettata, il ricorso insistito e felice alle metafore, la riproposizione di espressioni arcaiche ormai perdute.

Allora, nell’anno delle celebrazioni dedicate al poeta fiorentino, insieme a tante novità editoriali, anche di grande interesse, ci può stare la riscoperta di un Dante fuori dagli schemi, nel dialetto che più vi aggrada, perché, in fondo, Dante è il poeta più “pop” della nostra letteratura.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.