“L’Ickabog” – Joanne K. Rowling

Certamente chi si aspettava da questo libro un ennesimo spin-off della saga di Harry Potter non può che essere rimasto deluso. D’altra parte, però, la prolifica Rowling doveva bene, prima o dopo, uscire dal labirinto del suo personaggio principe e trovare/provare nuove strade nel suo percorso di narratrice.

L’Ickabog ha una bella e lunga storia alle spalle: nasce da una serie di racconti scritti tra un romanzo di Harry Potter e l’altro, letti ai figli e, a un bel momento, messi da parte. La saga del maghetto, infatti, deve aver catalizzato per anni tutte le energie della scrittrice, che è anche abile amministratrice delle fortune derivate dal suo prodotto narrativo. Poi è arrivato il lock down del marzo 2020 e le vicende dell’Ickabog, di re Teo, di Lord Scaracchino e Lord Flappone, degli abitanti di Cornucopia, sono tornate fuori e, come un moderno romanzo d’appendice, sono state pubblicate online, a puntate, chiedendo ai lettori di illustrarle. Così è nato questo libro, corredato dai migliori disegni inviati all’autrice.

Che libro è L’Ickabog? Checché se ne dica, è sostanzialmente una fiaba per adulti, anche se sembra riservata ai bambini, che alla fine risultano essere protagonisti ed eroi della storia. Le domande da cui l’autrice parte sono significative e rivelatrici: Che cosa ci dicono di noi i mostri che evochiamo? Cosa deve succedere perché il male si impossessi di una persona o di una nazione, e come si fa a sconfiggerlo? Perché le persone scelgono di credere alle bugie, anche a fronte di prove esili o inesistenti?

Potremmo dire (senza scomodare l’Orwell de La fattoria degli animali) che L’Ickabog è più precisamente una fiaba politica, in cui il potere, incarnato dall’inconsistente re Teo, dal subdolo Scaracchino e dal gaudente Flappone, è fondato sulla violenza, i soprusi, le falsità e la paura (il diverso, che dev’essere per forza un mostro). Dall’altra parte c’è un regno che, sotto questo tipo di potere, sfiorisce sempre più, in cui entra la miseria, la disperazione (genitori che abbandonano i figli in orfanotrofio perché non riescono a sfamarli), l’accettazione passiva di una realtà ormai non più migliorabile. Infine ci sono gli eroi, i bambini, che con realismo, senza pregiudizi, anche se con prudenza, vanno incontro al diverso-mostro, l’Ickabog, imparano a conoscerlo e scoprono che esso è il prodotto dei sentimenti che riceve: è gentile ed accogliente se viene accolto con gentilezza, è violento e selvaggio se gli uomini lo accolgono con tali atteggiamenti.

Una trama lineare; un messaggio semplice e concreto.

Ai numerosi fans della Rowling, delusi e un po’ smarriti, consiglio di rileggere L’Ickabog attraverso questa chiave di lettura, cogliendo più in profondo l’intenzione comunicativa dell’autrice. Forse non sarà la sua migliore prova narrativa, ma – mi ripeto – l’autrice scozzese doveva ben uscire, prima o poi, dal mondo dei maghi di Hogwarts.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.