Il cinema di Stephen King

Il rapporto tra cinema e letteratura è strettissimo e ha dato molti frutti, più o meno maturi. Tra gli scrittori che più spesso hanno prestato le loro opere per adattamenti cinematografici e televisivi c’è sicuramente Stephen King.
Sono letteralmente decine e decine le volte in cui è comparso sullo schermo la scritta: “Tratto da un racconto/romanzo di Stephen King”. Con la sua ormai sterminata bibliografia il Maestro del Brivido è terreno ideale per tutti i registi e gli sceneggiatori che si vogliono misurare con un materiale di partenza (spesso) gigantesco.

Ora i problemi: è impossibile parlare di tutti gli adattamenti kinghiani. Ed è comunque lavoro immane anche solo circoscrivere l’analisi al cinema, lasciando indietro le serie tv. Ecco perché ho deciso di approfondire – in ordine cronologico – solo i migliori tra i film tratti dalle opere di Stephen King.

Carrie – Lo sguardo di Satana (1976) – Brian De Palma prende il romanzo di King, lo sfronda di tutta la parte “giudiziaria” e dà allo spettatore un film che è tante cose insieme: horror, thriller psicologico, coming-of-age. Tutto questo con una protagonista – Sissy Spacek – semplicemente meravigliosa e delle atmosfere allucinanti. Il finale è da antologia.

Shining (1980) – Stephen King non ha mai nascosto la propria insofferenza nei confronti dell’adattamento di Stanley Kubrick, apprezzando invece molto la scialba miniserie omonima uscita alla fine degli anni Novanta. Perché l’astio nei confronti di Kubrick? Perché il regista inglese prende il materiale di partenza, ne salva l’essenza (cioè presentare l’inconscia malvagità insita nell’uomo) e poi fa quello che vuole, regalandoci, proprio per la sua infedeltà, un capolavoro.

Christine – La macchina infernale (1983) – Di che cosa vogliamo parlare? Quando due dei più grandi interpreti del genere horror, cioè John Carpenter e Stephen King, si avvicinano, i risultati non possono che strabiliare, per quanto Christine non sia tra i più riusciti film di Carpenter (e libri di King). Ma c’è talmente tanto amore per il cinema negli effetti speciali “caserecci” (ma efficaci), nella recitazione non sempre impeccabile e nelle atmosfere d’impatto che non si può non apprezzare questo film.

Stand by me (1986, da “Il corpo” in Stagioni diverse) – È l’essenza dell’arte narrativa di Stephen King: un gruppo di ragazzi in un’avventura più grande di loro. Che poi è un pretesto per interrogarsi sul significato dell’amicizia, l’avere tredici anni e il diventare grandi. E il regista Rob Reiner lo ha capito e messo in scena perfettamente.

Stephen King sul set.

Misery non deve morire (1990) – Ancora Rob Reiner, ma questa volta alle prese con un materiale diverso. Non più il coming-of-age, ma l’incubo di ogni scrittore di successo: il fan numero uno. Due protagonisti in scena, un’unica camera, una storia tortuosa che dal thriller sfocia nell’horror. E uno dei villain meglio interpretati della storia nel cinema.

Le ali della libertà (1994, da “Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank” in Stagioni diverse) – Ne sono sicuro: il film funziona meglio del racconto da cui è tratto. Il regista Frank Darabont tratteggia uno spaccato di (vent’anni di) vita carceraria: le dinamiche e le amicizie, gli incontri e gli scontri, i sogni e le disillusioni dei protagonisti.

Il miglio verde (1999) – Rimaniamo dalle parti del prison movie. Se credete che King non sia in grado di toccare le corde più intime del nostro animo perché scrive horror, allora guardate questo film: vi ricrederete. Non si può rimanere impassibili di fronte alla tenera sensibilità del protagonista imprigionato e all’improbabile amicizia che lo lega al suo carceriere.

The mist (2007) – Qui c’è un elemento chiave del mondo di Stephen King: l’idea che il destino non faccia concessioni a nessuno, tanto meno al pubblico. E la straziante scena finale dopo il tesissimo “home-invasion” che la precede è un pugno nello stomaco messo lì a ricordarcelo.

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