“The Porn Myth” – M. Fradd

C.S. Lewis sosteneva che la morale fosse composta da tre parti. La prima parte riguarda la morale pubblica, come ci si comporta verso le altre persone. In questo campo quasi tutti sono d’accordo. Tolti alcuni sociopatici, infatti, tutti sono d’accordo almeno a parole con la cosiddetta “regola d’oro”: tratta gli altri come vorresti essere trattato tu.

La seconda parte della morale, per Lewis, è quella privata, come ci si comporta a casa propria, quando nessuno ci guarda. In questo caso non tutti sono d’accordo. Chi ritiene che anche in privato bisogna comportarsi come in pubblico, chi invece ritiene che i “vizi privati” sono innocui e trascurabili.

La terza parte della morale riguarda il fine della stessa: perché comportarsi bene? Qui la divergenza è netta. Per essere ammirati dalla gente. Per senso di realizzazione personale. Per convinzioni filosofiche. Per fini escatologici.

La visione di Lewis mi sembra la chiave di lettura appropriata per trattare il tema del saggio di Matt Fradd: la pornografia. Spesso la si considera come un vizio privato, senza ricadute esterne, un mondo di fantasia in cui trarre una sosta momentanea dal tram tram quotidiano. Sbagliato.

Studi scientifici alla mano, Matt Fradd smantella questo mito, delineando un mondo orribile, fatto di sfruttamento, traffico di esseri umani, abuso di sostanze e violenza. Il cosiddetto “vizio privato” è origine e sbocco di alcuni dei crimini più orribili che ci siano, un buco nero che rovina la vita di migliaia di persone. Il mito dell’intrattenimento prodotto da adulti consenzienti per adulti consenzienti è appunto un mito e non regge la prova dei fatti.

Sempre Matt Fradd, ma con barba da lockdown…

Non è tutto. Una delle cose che più colpiscono del saggio sono gli effetti della pornografia, non sui “produttori” ma sui consumatori. Sviluppo di sintomi depressivi, assuefazione, ricerca di forme sempre più estreme, disfunzione erettile, incapacità emotiva, normalizzazione della violenza sessuale. Insomma, dati alla mano, sembra che quello che succede in privato ci segua anche nella vita pubblica e, anzi, la plasmi e la influenzi più di quanto si era mai ipotizzato.

Tutto questo diventa ancora più inquietante se si considera che l’esposizione alla pornografia inizia di media prima dei 10 anni e che proprio dalla pornografia le nuove generazioni (i “nativi digitali”) traggono la loro educazione sessuale (come sa bene chiunque abbia messo piede in una classe scolastica e abbia ascoltato i discorsi che si fanno).

Perché allora non si fa niente? Ignoranza e timore. Molti genitori, per esempio, ignorano in buona fede cosa fanno i loro figli con i propri smartphone o, quantomeno, ne ignorano gli effetti nocivi. Anche altre agenzie educative (la scuola, la parrocchia, i centri estivi) sono nella stessa posizione. Chi sa, però, spesso tace lo stesso e lo fa per timore. Timore di essere preso per bacchettone, timore di trattare un argomento delicato, timore di eventuali ritorsioni da parte degli ignoranti di cui sopra (vi immaginate il puttanaio — per usare un francesismo — che verrebbe fuori se si parlasse dell’argomento a scuola?).

E allora che fare? Matt Fradd, che con Lewis ha più di una cosa in comune, dà nel suo saggio alcuni consigli pratici, ma tutto si può condensare facendo riferimento proprio a Lewis. Secondo Lewis, le prime due parti della morale dipendono dalla terza. Noi ci comportiamo in un determinato modo perché abbiamo un determinato obiettivo. Se voglio solo apparire bello agli occhi degli altri, è chiaro che quando nessuno mi vede mi comporterò diversamente da chi agisce, invece, per convinzioni etiche o religiose.

Come dice Fradd, ognuno di noi deve chiedersi che tipo di persona vuole diventare. Una persona che vive di segreti, che scappa a soddisfare le proprie voglie nascoste davanti a dei pixel? O una persona in grado di amare con cuore indiviso la propria famiglia e il prossimo, senza segreti e bugie? Questo è il genere di pensiero che permette di combattere in modo efficace i tentacoli della pornografia e la strada maestra da seguire finché, in God’s good time, la società non prenderà coscienza del problema e non si agirà per combatterlo.

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