“I fratelli Karamazov” – F. Dostoevskij

Questo libro è un capolavoro, leggetelo.

La mia recensione potrebbe fermarsi qui, perché non dirò niente di più appropriato di questo. I fratelli Karamazov è, infatti, un libro refrattario all’analisi, difficile da spiegare. È come cercare di dire cosa si prova quando ci si innamora, o perché è bello vedere i fiori sbocciare in primavera. Sono cose che vanno vissute e nessuna descrizione può sostituirsi all’esperienza.

L’arte è imitazione, diceva Aristotele, e ha ragione nella maggior parte dei casi. Nella maggior parte, perché, ogni tanto, spunta fuori un’opera d’arte che invece non imita la vita, ma che è a sua volta vita. Un’opera che trascende i generi, che se ne frega della tecnica e delle regole, in cui ogni personaggio, ogni parola, ogni snodo della trama sembrano al posto giusto. Opere che paiono quasi frutto di un’ispirazione divina e ci si stupisce, quando poi si scopre che l’autore ci ha lavorato sopra per anni.

Tutti i romanzi di Dostoevskij riescono a toccare il cuore e la mente del lettore, ma I fratelli Karamazov sono come un pugnale che penetra a fondo nell’anima, sprigiona gioia e fa raggiungere, per dirla con un altro grandissimo della letteratura come Tolkien, quelle «regioni dove dolore e gioia scorrono insieme e le lacrime sono il nettare schietto della beatitudine».

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