“Il mare nero dell’indifferenza” – L. Segre

Ho finito di leggere Il mare nero dell’indifferenza di Liliana Segre nei giorni in cui, dopo aver celebrato la Giornata della Memoria (27 gennaio) e quella del Ricordo (10 febbraio), si prolungano, come ogni anno, sterilmente e stancamente, le polemiche sul colore politico delle stragi del secolo scorso.

Da almeno quindici anni mi sto chiedendo il senso di questa doppia celebrazione, legata ad uno stesso tema storico: le violenze disumane esplose nel corso del Secondo Conflitto Mondiale. E non mi so dare una risposta convincente, anche perché ogni anno si assiste alla superficialità storica e alla strumentalizzazione politica con cui tali avvenimenti – il genocidio degli ebrei, e non solo, nei campi di sterminio nazisti, il massacro delle foibe e l’esodo giuliano dalmata, ad opera dei comunisti titini, e non solo – vengono trattati dai leader dei nostri partiti.

E così, mentre sto leggendo le ultime pagine del libro di Segre, curato da Giuseppe Civati, penso che non esiste, anzi non può proprio esistere alternativa tra una Memoria e un Ricordo, così come non esistono morti di sinistra e morti di destra, perché non esiste una violenza nera e una violenza rossa: il grido di dolore di chi muore o di chi convive con l’assenza non ha un colore, tanto meno un colore politico, e la violenza è COMUNQUE e SEMPRE e SOLO disumanità. Da molti anni racconto la storia di Andra e Tatiana Bucci, di Sergio De Simone, di Norma Cossetto e di tante altre vittime, come fili di una stessa trama storica, di uno stesso olocausto, perché ritengo sia giusto così. Ed ogni libro che parla di queste storie e mantiene vivo il ricordo (o la memoria: è lo stesso!) di queste ed altri milioni di persone, è, purtroppo, un libro necessario, indispensabile. In questo modo, penso di rispondere preventivamente ad una domanda che potrebbe sorgere: ma era proprio necessaria un’altra pubblicazione dedicata a Liliana Segre?

Giuseppe Civati, curatore di questo agile saggio, ha fatto un gran lavoro: ha scelto di raccontare la storia di questa testimone della brutalità umana, ricorrendo non solo alle precedenti pubblicazioni dedicate alla Segre e ad un’ampia bibliografia sull’argomento, ma anche attingendo, anzi proprio ricercando e privilegiando i materiali documentari provenienti da altre fonti, come interviste giornalistiche, televisive e radiofoniche, interventi ed incontri pubblici presso scuole, associazioni e librerie, lectiones magistrales universitarie, soprattutto in occasione del conferimento di lauree honoris causa. Ne risulta una narrazione corale, ben orchestrata dal curatore, in cui il percorso biografico lascia spesso il passo alla riflessione, alla ricerca dei significati e dei fili che legano quel passato al nostro presente. Colpisce che di tutta la violenza vista e subita in più di un anno trascorso ad Auschwitz, Segre ricordi soprattutto la crudele indifferenza dei suoi concittadini di fronte alla palese ingiustizia delle leggi razziali, degli arresti, della detenzione a San Vittore, della deportazione di una bambina di otto anni e di suo padre.

Ha fatto bene allora Civati a dare voce, ancora una volta, a questa testimone della crudeltà e dell’egoismo umano: la sua memoria è un inestimabile e sempre più raro patrimonio, di cui noi italiani, in particolare, dovremmo più convintamente far tesoro, senza se e senza ma. La conclusione del libro recita: L’impegno di Liliana Segre ci guida nel delicato passaggio di testimone dalla generazione dei sopravvissuti a quelle successive e indica la strada migliore per fare i conti con le proprie responsabilità nazionali, affinché quel “mai più” smetta di essere formula retorica e si concretizzi in responsabilità politica. E anche personale e civile.

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