“Campionissimi” – M. Crosetti

Eschilo diceva che le sue tragedie erano bocconi strappati dal banchetto di Omero. Nell’ultima mia recensione (che trovate qui), paragonavo il ciclismo all’epica e i suoi cantori agli antichi aedi. Questo saggio di Crosetti, invece, spinge a scomodare un altro genere letterario antico: la tragedia.

Sì, perché il ciclismo è epica, ma non esiste epica senza tragedia. L’epica è il regno dell’umano che si fa sovrumano e in questa dimensione straordinaria anche i dolori, gli errori e le sconfitte vengono amplificati. Nel suo saggio, Crosetti presenta un giorno nella vita di trenta grandi campioni del ciclismo, dal tempo dei pionieri fino a Pantani. Ma quello che colpisce è che, anche quando sceglie di raccontare i giorni delle grandi vittorie, malinconia e amarezza trasudano in ogni pagina.

Bottecchia, Coppi, Koblet, Anquetil, Ocana, Pantani sono eroi tragici a tutti gli effetti: smisurati nella loro forza e smisurati nella loro disperata solitudine. Il suicidio e la morte prematura sono motivi ricorrenti, con battute di amara ironia che avrebbero fatto invidia a Euripide (come Anquetil che divorato dal cancro dice all’eterno secondo Poulidor: “Ecco, Raymond, ti batto di nuovo: muoio prima io”).

Nostalgia e perdita: Bettini, Coppi, Bartali accomunati dalla morte del fratello; amarezza: Bugno e i suoi fantasmi che gli impediscono di sorridere; fatica e miseria: Bottecchia che non mangia in corsa per portare cibo a moglie e figli. Di questo è fatta la vita del ciclista, vita di poche momentanee vittorie e di tante brucianti sconfitte, ma soprattutto di fatica e solitudine.

Forse esagera l’autore nel dire che il ciclista è un uomo solo, amato da uomini ancor più soli, ma un fondo di verità c’è. Fatica, sudore e solitudine sono l’essenza del ciclismo; un’essenza che nessuno ha catturato in forma scritta meglio di Marco Pantani: “Andate a vedere cosa è un ciclista e quanti uomini vanno in mezzo alla torrida tristezza”.

Pantani e la torrida tristezza

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