“Tredici alberi” – Nicola Cozzio

E’ un libro abbastanza strano, questo Tredici alberi. Racconti di uomini e di radici di Nicola Cozzio.

Prima di tutto, chi è Nicola Cozzio? E’ uno scultore della Val Rendena, un accompagnatore di media montagna, un personaggio variegato, che ha viaggiato a piedi e in bici e scalato diverse montagne. Cozzio si interessa del benessere legato al rapporto dell’uomo con la natura ed il bosco in particolare. Infine, è anche uno scrittore che ha al suo attivo pubblicazioni, articoli e poesie.

Con Tredici alberi, Cozzio costruisce un testo dal genere misto, una sorta di saggio narrativo, in cui alterna la descrizione di tredici specie arboree montane a tredici racconti brevi che in qualche modo le coinvolgono.

I racconti di Cozzio sono scritti con uno stile rapido, essenziale, attento più all’anima dei personaggi che all’ambiente. Sono storie senza tempo, alcune presentano le caratteristiche delle fiabe moderne e nello stesso tempo sanno di antico, prendono vita in uno spazio senza tempo per parlare all’essenza degli uomini.

Tuttavia, quello che sorprende di più nel libro di Cozzio sono i tredici alberi, descritti a tutto tondo, a partire dalle loro caratteristiche botaniche, per arrivare al loro essere, in modi diversi, un dono per l’umanità. Si va dall’abete rosso al frassino, dal cirmolo al larice, dal pino mugo all’acero. Ed ogni tipo di albero diventa subito vivo, perché Cozzio ne definisce la personalità, l’origine e la storia, la diffusione, le credenze, la mitologia, le leggende l’antropologia, l’utilizzo, il tipo di legno e le sue particolarità. Nelle pagine di Cozzio gli alberi vivono, respirano, sussurrano parole silenziose e sembra di trovarsi immersi in una versione più realistica, ma non meno emozionante, della foresta di Fangorn, dove gli alberi prendono vita e parlano tra di loro, come scrisse J.R.R. Tolkien nel suo capolavoro Il Signore degli Anelli.

Tredici alberi è una meditazione sul senso della vita: alberi, boschi, foreste insegnano all’uomo che la grandezza non è data dalle dimensioni o dalla forza, ma dalla capacità di farsi dono, di consumare la propria esistenza anche nel crepitio del fuoco di un camino, perché fonte della nostra felicità è la gioia che riusciamo a dare agli altri.

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