“Trattato di economia eretica” – T. Porcher

Thomas Porcher è un nostalgico. Nostalgico di un periodo diverso, in cui le persone nascevano, lavoravano e morivano nello stesso paese. In cui il mondo era semplice: c’erano i lavoratori e i padroni e la lotta era chiara. In cui l’Europa e l’America non dovevano preoccuparsi di delocalizzazione, paradisi fiscali e competizione globale. Il libro di Porcher ha il merito di trasporre sulla pagina scritta quel senso di spaesamento che molti occidentali avvertono da qualche decennio a questa parte, quando questo vecchio mondo è scomparso e, per molti di loro, tutto è cambiato.

Il colpevole secondo Porcher? Quel mostro anticristico noto come neoliberismo. Da quando Ronald Reagan e Margaret Tatcher hanno deciso di tagliare le tasse, ridurre la burocrazia e aprire l’Occidente al commercio internazionale, ecco che tutto è andato a rotoli. Dopo decenni di protezione statale, molte aziende sono fallite o hanno delocalizzato, il welfare è crollato, i salari sono diminuiti e le multinazionali si sono arricchite. Insomma, in poche parole i ricchi sono diventati più ricchi e i poveri più poveri.

Cosa c’è di vero? La competizione internazionale e le pratiche di social dumping sono un problema con cui bisognerebbe fare i conti, ma l’assunto di base è errato. I ricchi saranno anche più ricchi, ma i poveri non sono più poveri. Dal 1970 il numero di persone che vivono in povertà estrema (cioè con meno di 1 dollaro al giorno) è diminuito dell’80%: grazie al libero scambio e alla diffusione della proprietà privata e della libera impresa, miliardi di persone sono uscite dalla povertà e stanno migliorando le loro condizioni di vita.

Certo, nei paesi sviluppati questa competizione ha portato a un maggior squilibrio nella distribuzione della ricchezza (alimentando anche il fuoco del populismo), ma anche qui è sbagliato dire che i poveri stanno diventando più poveri. Come dice Porcher stesso, «le riforme liberiste di Reagan negli anni Ottanta hanno permesso all’1% della popolazione di aumentare il proprio reddito del 150% negli ultimi trent’anni, contro il 15% per il restante 90% della popolazione». Volendo ci si potrebbe concentrare sulla prima parte di questa affermazione e indignarsi, oppure sulla seconda parte e gioire.

Un altro problema del saggio di Porcher riguarda la soluzione da lui proposta: più stato. Serve più spesa pubblica, più protezione alle imprese (magari nazionalizzandone qualcuna, why not?), più sussidi… insomma il ritorno a quelle soluzioni di politica economica comunemente dette keynesiane. Hanno funzionato in passato, perché non possono farlo di nuovo? Il punto è… hanno davvero funzionato in passato? Pensiamo alla War on poverty del presidente Lyndon B. Johnson, varata nel 1966 con l’obiettivo di abolire la povertà. Dal 1966 al 2016 sono stati spesi dal governo federale in welfare e sussidi pubblici 20.000.000.000.000 di dollari. Hanno avuto effetto? Giudicate voi: nel 1966 il tasso di povertà negli USA era al 14.7%, nel 2016 si è abbassato solo al 13.5%. Dare sussidi ai poveri è giusto e doveroso per permettergli di sopravvivere, ma non è la soluzione giusta per eliminare la povertà: per questo servono posti di lavoro (non è un caso che nel 2019 il tasso di povertà negli USA fosse al 10.5%).

Insomma, l’economia eretica di Porcher per quanto a volte corretta nel diagnosticare problemi, sbaglia di grosso nell’individuare il colpevole (il neoliberismo) ed è catastrofica nel proporre una soluzione.

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