“La bambina con la valigia” – Egea Haffner e Gigliola Alvisi

E’ un libro scritto con la vita La bambina con la valigia. La vita è quella di Egea Haffner, la penna è di Gigliola Alvisi. Un libro che parla di sradicamento e di resilienza.

Non ha ancora compiuto cinque anni, Egea, nel luglio del 1946, quando è costretta ad abbandonare la sua terra, la sua casa, le sue sicurezze, a Pola, città dell’Istria, dove i titini stanno letteralmente massacrando la popolazione di origine italiana: una delle innumerevoli “pulizie etniche” della nostra storia contemporanea.

Il padre di Egea, Kurt, qualche mese prima viene catturato e scompare: chissà perché lo presero… perché proprio lui? Forse perché era l’unico rappresentante maschile di una delle famiglie benestanti della città, oppure, più semplicemente lo presero perché era italiano. Le donne della mia famiglia pregarono e sperarono. L’ipotesi che temevano oscurava la vista e rallentava il cuore fino a fargli perdere un battito: foibe.

Da quel momento tutto cambia per Egea: la partenza da Pola, il trasferimento in Sardegna con la madre, poi a Bolzano con gli zii, la nonna e l’adorata zia Ilse, una vera mamma. Una storia fatta di sacrifici, di umiliazioni, di quel sentirsi italiani “diversi”, in patria ma un po’ stranieri nello stesso tempo. Per Egea tutto ha il sapore del ricordo: ogni suono, colore, odore rimanda a Pola, la sua città. Ma Egea è, prima, una bambina forte, poi una ragazza e una donna dolce e determinata, che sa prendere in mano la sua vita, ricostruire ponti, relazioni, affetti. Oggi è una nonna che ama raccontare la sua storia, sperando, come tutti, che la memoria, prima o dopo, possa servire a non commettere più gli stessi errori del passato.

Egea Haffner ne La bambina con la valigia racconta una storia personale e comune nello stesso tempo, ma soprattutto una storia privata, intima. La Storia, seppur dolorosissima, rimane sullo sfondo, influenza ma non determina le scelte della protagonista.

Grande merito va sicuramente alla scrittrice Gigliola Alvisi, che con notevole sensibilità si è fatta strumento discreto della narrazione di Egea.

Al termine del libro, il lettore non può non provare un affetto smisurato per quella bambina un po’ imbronciata, con la valigia dell’esule giuliana. A guardare quella foto, “esule” sembra veramente una parola troppo grande per quella bambina. Ma il cuore di Egea sarà ancora più grande, così come la sua voglia di vivere e di costruirsi un futuro positivo. Ieri come oggi, nel buio di chi è costretto a vivere l’esperienza del profugo, questa storia rappresenta una luce di speranza. Ne abbiamo tutti tanto bisogno.

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