“Il figlio del mare” – D. Morosinotto

Scrivere romanzi storici non è facile. Anzi, mi correggo, scrivere dei romanzi storici è anche facile; il difficile è sopportare i puntigliosi giudizi di chi pensa di saperne più di te e fa i puntini sulle i. In questo commento, mi riprometto solennemente di non macchiarmi di tale colpa.

Partiamo dalla storia. Di cosa parla il romanzo? Un giovane custode di porci nella Este del V secolo (Ateste), alle prese con l’avanzata degli Unni di Attila e tutti gli sconvolgimenti che ne derivano. Siamo al tramonto dell’impero romano d’occidente, in quel periodo affascinante e magmatico noto come tardo-antico. L’azione è concisa e ben ritmata, i capitoli sono scanditi in modo netto e serrato, senza momenti di stanca. Le vicende affascinano e seguiamo volentieri le avventure di Pietro tra Ateste, Patavium e Altinum.

Lo schema è quello tipico dell’eroe improbabile. Un semplice guardiano di porci che finisce a dover combattere gli Unni, che incontra Attila e dimostra tutto il suo coraggio e le sue capacità. Pian piano vengono fuori le sue qualità di leader e si assume la responsabilità di molte altre persone. Uno schema tradizionale, ma non trito, che l’autore riesce a rielaborare in modo originale ed efficace.

Ci sono alcuni punti deboli. Uno su tutti una love story interclassista forse un po’ troppo telefonata e zuccherosa. Ma sono ombre sulle quali si può passare sopra senza troppi problemi. C’è poco da dire, il romanzo prende e convince e, quando finisce, non si può che aspettare con grande desiderio il sequel!

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