“Delitto e castigo” – Fëdor Dostoevskij

Capolavoro assoluto. Una recensione di Delitto e castigo di Dostoevskij non può che iniziare con queste parole. Ma perché è un capolavoro? Qui la cosa si fa un po’ più ingarbugliata. Il capolavoro ha sempre in sé una dimensione intuitiva e personale. Qualche secolo fa l’anonimo autore del trattato Del Sublime definiva il sublime come “il risonare di un grande ingegno”. Questa definizione è azzeccata perché chiama in causa due momenti: la produzione (“grande ingegno”) e la ricezione (il “risonare”). Il capolavoro è tale se la perizia tecnica di un autore riesce in qualche modo a entrare in contatto con il fruitore e a colpirlo intellettualmente ed emotivamente.

In Delitto e castigo questi due livelli sono evidenti. La trama è raffinata nel suo svolgersi (appunto) dal delitto al castigo e non ha nulla da invidiare ai romanzi di una Christie o un Conan Doyle. Questa trama, però, è calata in una realtà umana e sociale (la Pietroburgo ottocentesca) descritta con una forza e un realismo tale da lasciare il segno. Sangue, povertà, sfruttamento, alcol e prostituzione si mescolano, pagina dopo pagina, nel romanzo di Dostoevskij. La storia umana appare come una tragica parata di fango e disperazione.

Eppure (e qui sta lo sconfinato talento dell’autore) più grande è il degrado, più grande diventa la compassione del lettore. Più la prosa di Dostoevskij si abbassa sulle miserie morali e materiali dell’umanità (incarnate dal protagonista Raskol’nikov), più lo spirito del lettore si ribella e cerca di risalire verso il sublime. Incapace di tollerare lo status quo. Incapace di accettare che il delitto possa restare impunito. Incapace di credere che, attraverso un amore puro e spontaneo, non ci possa essere una redenzione. Signore e signori, questo romanzo è un capolavoro assoluto.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.