“Ada o ardore” – V. Nabokov

Adoro Nabokov e la sua prosa. Trovo che sia una delle più efficaci, precise e al tempo stesso leggere e musicali che uno scrittore sia mai stati in grado di produrre. Certo, parte del merito va anche ai vari traduttori e alle varie traduttrici che di volta in volta si cimentano con le sue opere. Ma questo non cambia la sostanza del fatto: Nabokov scrive divinamente.

Ada o ardore non fa eccezione, anzi. Pubblicato nel 1969, mescola diverse lingue (inglese, russo e francese) e diversi generi letterari (romanzo familiare, epistolario e ucronia). Non è facile dare un’idea di che cosa ci sia in questo romanzo. Per provare a ridurlo all’osso si potrebbe dire che Ada o ardore racconta la storia d’amore tormentata e spalmata su più anni di due cugini, membri di un’aristocrazia simil-russa. In mezzo, allontanamenti e riavvicinamenti, tradimenti, duelli e tanta filosofia. Certo, detta così non si fa un bel servizio al romanzo, ma con le sintesi si corre sempre questo rischio.

Non è difficile perdersi nelle pagine di questo romanzo. Nabokov dedica molto spazio a riflessioni sul tempo che risultano complesse e eccessivamente prolisse per chi non ama i ritmi della filosofia. Tuttavia, anche queste digressioni contribuiscono a creare un’atmosfera ipnotica e quasi onirica all’interno della quale il lettore rimane rapito e conquistato. L’ambientazione ucronica – in una Anti-Terra parallela a quella reale – aggiunge quel pizzico di polvere di sogno che estrania in maniera definitiva.

Insomma, leggiamo Ada o ardore cercando le coordinate del mondo reale e della vita vera, ma ogni volta che ci sembra di esserci agganciati a qualcosa di concreto, Nabokov strappa l’amo e ci rimanda al largo, in un (non-)luogo senza punti di riferimento. Ci vuole parecchio talento per trasformare un genere letterario tra i più tangibili che possiamo praticare (il biografismo, il romanzo familiare) in un oceano di sensazioni in cui ogni dato è passibile di interpretazioni diverse.

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