“Ferrovie del Messico” – G. M. Griffi

Ciò che lascia maggiormente strabiliati, tra le molte cose strabilianti in quel capolavoro che è Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi, è il modo in cui l’autore tratta le parole. Di rado nella letteratura contemporanea capita di assistere a un tale rispetto per le parole utilizzate, a un’attenzione così spasmodica nei confronti del vocabolario. Anzi, viene in mente un solo precedente, cioè quello di Carlo Emilio Gadda, vero e proprio ingegnere della parola. Naturalmente per Gadda era il romano, mentre ovvie ragioni biografiche fanno sì che Griffi giochi con il piemontese. Ma cambia solo l’ordine degli addendi: il risultato è lo stesso.

Ferrovie del Messico racconta una storia potenzialmente infinita, come nella migliore tradizione dei romanzi enciclopedici. Il nucleo è quasi elementare: all’inizio del 1944 un soldato italiano riceve l’ordine di redigere una mappa delle ferrovie del Messico. Da questo nucleo si dirama una ragnatela di storie che solo tangenzialmente tocca quella del soldato Cesco Magetti. Sono storie che riguardano altri personaggi e altri luoghi, storie nelle quali Griffi dimostra una straordinaria capacità di mescolare registri stilistici e influenze letterarie disparate, soprattutto sudamericane (Gabriel Garcia Marquez, Jorge Luis Borges e Roberto Bolaño).

Ma, si diceva, il rispetto nei confronti della parola. Cosa oltremodo rara, oggi, in un mondo in cui la parola è più bistrattata che mai. Quanto spesso ne vediamo fare un cattivo uso, anche da parte degli addetti ai lavori? Parole violente, parole sbagliate, parole irrispettose. Parole che non tengono conto della complessità e della varietà del reale. Chi lavora con le parole (dai romanzieri ai giornalisti e via dicendo) deve essere più attento e prudente. Deve giocare con la straordinaria libertà che la parola offre, ma sempre rispettosamente. Perché rispettare la parola significa rispettare chi la usa (cioè se stessi) e il mondo che essa abbraccia e riflette. Ci sono mille motivi per esaltare Ferrovie del Messico. Ma mi sembra sia doveroso partire dalle basi, cioè dalla parola.

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