“Dimmi cosa vedi tu da lì” – G.M. Brera

Confuso e inefficace. Questo romanzo saggesco, o saggio romanzato, non sa cosa vuole essere. Un po’ flusso di coscienza, un po’ saggio finanziario, un po’ riflessione storica, un po’ biografia, un po’ romanzo giallo. Tutto un po’, troppo un po’. E nel bel mezzo di tutti questi rivoli, ci si perde senza rimedio.

Non che l’autore non abbia niente di interessante da dire. Ma se cerchi di dire tutto, finisci per non riuscire a dirlo bene.

Vogliamo parlare di un confronto tra i trent’anni di politiche “keynesiane” del secondo dopoguerra in confronto con il neoliberismo globalizzato degli anni Ottanta? Bene, facciamolo, ma facciamolo per bene: dati alla mano e con un apparato storiografico serio.

Vogliamo parlare delle storture della finanza globale e delle figure che la controllano? Bene, facciamo i nomi, mettiamo in relazione finanza e politica, studiamone l’influenza e costruiamo un serio lavoro d’indagine.

Vogliamo parlare di un illustre economista del passato, della sua visione del mondo e della sua misteriosa scomparsa? Bene, costruiamo un racconto biografico serio, citiamo le fonti, sentiamo i punti di vista di chi l’ha conosciuto e facciamo ipotesi sulla sua fine.

Ognuno di questi filoni narrativi (e gli altri che compongono il romanzo) ha una sua dignità letteraria e, se ben condotto, potrebbe dar esito a una lettura piacevole e costruttiva. Frullarli senza un filo conduttore che tenga efficacemente insieme il tutto, porta invece a un risultato deludente e poco accattivante.

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