Scrivere un giallo, intrattenendo il lettore e portandolo allo stesso tempo dietro le quinte di ciò che si sta facendo. Mostrandogli regole, anticipando eventi, evidenziando fatti salienti che troveranno magari un significato solo più avanti. Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno è un giallo davvero sui generis. Costruito come un autentico romanzo di genere, utilizza l’espediente del protagonista che insegna a scrivere gialli per parlare di letteratura – e di letteratura gialla in particolare – e per mostrare al lettore quali sono le regole del mestiere, e i suoi strumenti. E funziona che meglio non si potrebbe.
Funziona la componente narrativa, prima di tutto. Perché un romanzo costruito solo sulla forma rischia di annoiare e di essere abbandonato, figurarsi un romanzo giallo che nell’inanellarsi dei fatti – cioè nel contenuto – ha proprio la sua arma migliore. L’intrigo al centro del romanzo, gli indizi, i delitti, le prove, i colpi di scena uno dietro l’altro, la costruzione: tutto contribuisce meravigliosamente a trattenere il lettore dalla prima all’ultima riga, senza una virgola in eccesso. Provare per credere: arriverete all’ultima pagina, quasi senza fiato.
Funziona poi altrettanto bene anche la componente metanarrativa. Funzionano gli excursus e gli incisi del narratore. Vediamo un giallo costruirsi tra le nostre mani, un libro che si fa mentre lo leggiamo. Ed è una cosa rara e difficile trovare un equilibrio tale tra le parti. La componente metanarrativa, in particolare, rischia sempre di essere mal dosata e di prendere il sopravvento schiacciando il racconto e diventato un semplice espediente attraverso il quale lo scrittore fa mostra di sé. No, Benjamin Stevenson fa mostra di sé con Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno, cioè con quello che c’è dentro il romanzo: sia ciò che racconta sia il modo in cui decide di farlo. È un esperimento pienamente riuscito e dannatamente coinvolgente.
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