“Dall’inferno si ritorna” – Christiana Ruggeri

Nella primavera del 1994, il genocidio dei ruandesi di etnia tutsi ad opera dei connazionali hutu ha rappresentato, forse, una delle ultime pulizie etniche del secolo scorso, secolo orrendamente gravido di stermini di massa, anche escludendo la tristemente famosa Shoah ebraica.

Descrivere cosa sia stato il genocidio in Ruanda è assai complesso, ma forse bastano alcune informazioni e qualche numero. Dal 6 aprile al 16 luglio 1994 si scatenò nel Paese africano una vera e propria caccia all’uomo, con l’obiettivo di sterminare tutte le persone di etnia tutsi, che rappresentavano di fatto una minoranza, ma in realtà costituivano l’élite sociale e culturale del Paese. Protagonisti del massacro furono l’esercito regolare e spietati gruppi paramilitari di etnia hutu. In cento giorni, persero la vita circa un milione di persone.

L’odio razziale fra queste due etnie, che tra l’altro condividono lingua, religione e cultura, era stato fomentato nei decenni precedenti, a partire dagli inizi del secolo, dalle potenze coloniali, in modo particolare dal Belgio e dalla Francia, che, dopo aver sostenuto per decenni i tutsi, iniziarono ad appoggiare economicamente e militarmente i gruppi paramilitari hutu che, dagli anni Cinquanta, avevano cominciato a perseguitare apertamente l’etnia nemica.

Il 1994, dunque, fu l’apice di una lunga scia di morte. In poche settimane, centinaia di migliaia di tutsi, indistintamente, vennero trucidati brutalmente, soprattutto a colpi di machete. Non ebbero vita sicura neppure quegli hutu che, impietositi, aiutarono amici o semplicemente vicini di casa nella fuga disperata. I profughi furono spesso bambini soli, divenuti orfani. Migliaia di donne e bambine, anche in tenera età, vennero selvaggiamente violentate, infettate con l’Hiv. I caschi blu dell’Onu osservarono impotenti, chiedendo inutilmente rinforzi alla comunità internazionale. Solo i francesi intervennero con azioni militari, ufficialmente di carattere umanitario, in realtà destinate a proteggere gli hutu dal Fronte Patriottico Ruandese, la formazione politica che il 16 luglio metterà fine alla guerra civile.

Il libro di Christiana Ruggeri racconta la Storia attraverso una storia, quella di Bibi, una bambina tutsi di cinque anni, che in una tiepida mattina di aprile si risveglia in mezzo al sangue e all’odore di morte, tra i cadaveri della propria famiglia, lei stessa gravemente ferita, confusa, terrorizzata, ma con un’incontenibile voglia di vivere e di capire.

Dall’inferno si ritorna è proprio un viaggio disperato nei labirinti più bui dell’animo umano, negli angoli più cupi e nascosti della nostra Storia, laddove però brillano le fiammelle inestinguibili dei Giusti, di chi non si piega mai alla logica della morte, ma difende comunque la vita umana, a prescindere.

La storia di Bibi, raccontata da Christiana Ruggeri, è di un’intensità spasmodica. Le domande di senso che una bambina di cinque anni si pone sono di una profondità e di una ingenua e disarmante logicità. Il legame di Bibi con i propri affetti, che perdura oltre il tempo e la morte, è commovente. Le relazioni che Bibi riesce ad instaurare con le persone che la circondano, il bisogno di verità che le esplode dentro, sono un insegnamento per tutti. Lo è anche il suo modo di guardare alle persone, senza sovrastrutture: ciò che le definisce è solo la loro scelta fondamentale di operare per il bene o per il male degli altri.

Ruggeri racconta una storia vera, che soprattutto i nostri ragazzi dovrebbero conoscere, per capire che la malvagia follia umana non è relegata in alcuni capitoli di storia o in luoghi sottosviluppati del nostro pianeta. Con il male dobbiamo convivere e per questo dobbiamo imparare a coltivare la giustizia. Quante stragi, quanti genocidi permetteremo ancora, prima di diventare pienamente uomini?

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