“Reagan” – G. Sangiuliano

Un avvertimento: più che una recensione della biografia (ottima) di Sangiuliano, queste sono le mie riflessioni sul ruolo politico e storico di Ronald Reagan.

Trovo che gli anni Ottanta siano un periodo storico incredibilmente interessante. In un certo senso sono il decennio di rifondazione della civiltà occidentale. Dopo la seconda guerra mondiale, Stati Uniti ed Europa diedero impulso a una nuova stagione politica fondata su due basi fondamentali: democrazia e cristianità. Assetti politici democratici, in grado di garantire il rispetto delle libertà fondamentali, erano associati a una sostanziale armonia e promozione dell’ethos cristiano. Questo è evidente se si osserva la vita di alcuni tra i padri nobili della repubblica italiana (si veda qui e qui).

Alla fine degli anni Settanta queste due basi erano pericolanti e scricchiolanti. Da un lato l’assetto democratico era limitato da uno stato ipertrofico e da una mastodontica burocrazia, dall’altro il sentimento religioso si era fortemente raffreddato e faticava a proporsi come fonte di aggregazione. Anzi, si può dire che i due fenomeni siano collegati e che lo stato si sia trovato a riempire diversi vuoti lasciati proprio dall’erosione delle attività sociali di matrice religiosa. Azioni di volontariato e forme di welfare e mutuo aiuto all’interno di comunità religiose in alcuni casi furono assunte e in altri reclamate con la forza dagli stati, innescando una spirale di aumento delle spese e inflazione che ben presto portarono alla famigerata stagflazione. Al tempo stesso la dissoluzione del tessuto sociale, anch’esso in larga parte collegato all’affiliazione a gruppi religiosi, portò all’aumento di malessere e disagio psico-sociale.

In America il punto più basso si toccò sotto l’amministrazione Carter, con un’inflazione fuori controllo (fino a raggiungere la doppia cifra), diffusa disoccupazione e un indebolimento della posizione americana nei confronti dei nemici sovietici.

In questa situazione così complessa fece la sua comparsa la figura di Ronald Reagan. Spesso ritratto come un villain o un incompetente guerrafondaio, Reagan in otto anni riuscì a riportare sotto controllo l’inflazione (un applauso al suo banchiere centrale, Paul Volcker), a far ripartire l’economia americana con tassi di crescita superiori in media al 2%, a dimezzare la disoccupazione, a porre fine alla guerra fredda con la vittoria americana e a restituire ai concittadini un forte senso di fiducia nel futuro. Ancora di più, Reagan (insieme alla collega e amica britannica, Margaret Thatcher) diede il via a una nuova ortodossia socio-economica, copiata ben presto dagli avversari politici di un tempo (i democratici di Clinton e Obama e il New Labour di Blair e Gordon). E ancora oggi, Reagan se la gioca con Kennedy nei sondaggi come presidente più amato del Dopoguerra.

La biografia di Sangiuliano fornisce un buon ritratto di questo attore fondamentale della nostra storia recente, in grado di unire aneddoti gustosi e interpretazioni di ampio respiro. Trovo, però, che non focalizzi abbastanza l’attenzione sul ruolo di Reagan nel ricostruire le fondamenta della civiltà occidentale, dopo un decennio di crisi esistenziale. Questa rifondazione si colloca pienamente nel solco del conservatorismo americano ed è duplice:

  1. Reagan limitò il ruolo del governo federale, diminuendo norme e prerogative della burocrazia centrale e tagliando drasticamente le tasse;
  2. Reagan tentò di restaurare un forte senso di riverenza verso l’America, i suoi valori e la sua storia, tra cui le radici giudaico-cristiane da cui deriva.

Nel primo caso le manovre di Reagan ebbero pieno successo e aprirono la strada alla rivoluzione neoliberista che ancora oggi è largamente accettata (e criticata solo a parole da post-comunisti e sovranisti vari). Nel secondo caso, invece, l’eredità di Reagan fu meno duratura. Infatti, dopo la seconda guerra mondiale i politici cattolici europei avevano potuto ricostruire una società in armonia con la morale cristiana, vista la larga diffusione della pratica religiosa e la dimensione intrinsecamente comunitaria e sociale del cattolicesimo. Nel caso di Reagan, invece, la diminuita sensibilità religiosa, la mentalità libertaria così tipica del conservatorismo a stelle e strisce e l’individualismo proprio della religione protestante spinsero a una soluzione “privata”: invece di ricostruire una società ispirata a valori cristiani, Reagan optò per una soluzione più morbida e libertaria, basata sulle scelte private. Un esempio è la questione dell’aborto: nonostante la posizione pro-life spesso ribadita, fu proprio Reagan ad aprire la strada all’aborto come governatore della California.

Per questo motivo, la rivoluzione di Reagan si può considerare riuscita solo a metà e, anche se ha contribuito a garantire all’Occidente un trentennio di prosperità e sviluppo, non è riuscita ad arginare del tutto quegli impulsi autodistruttivi e antisociali emersi a partire dal Sessantotto e riemersi con forza in questi ultimi anni. La malattia dell’Occidente attuale, più che economica (tolta l’Italia, infatti, la crisi dello scorso decennio è stata in larga parte riassorbita) è spirituale e ha a che fare con la distruzione del tessuto sociale, la perdita di un senso comunitario e un diffuso nichilismo sociale e individuale. E non ci sono manovre economiche che possano guarire questi mali…

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