“Ma se io volessi diventare una fascista intelligente?” – Claudio Giunta

Claudio Giunta è un intellettuale acuto e profondo ed un docente sinceramente appassionato alla scuola, al sistema educativo, alla formazione dei giovani. Lo ha dimostrato in precedenti pubblicazioni (E se non fosse la buona battaglia? Sul futuro dell’istruzione umanistica) e in numerosi interventi su riviste e quotidiani nazionali (si veda la sua pagina web claudiogiunta.it).

Il libro con il quale si presenta in questi giorni, in realtà, è una duplice pubblicazione, composta da due saggi interconnessi: nella prima parte l’autore si sofferma sulla “scuola nuova”, quella che ha introdotto le ormai famose trentatré ore di educazione civica; nella seconda parte, Giunta analizza i contenuti di un testo “antico”, quella Scuola sotto inchiesta di Guido Calogero che, benché pubblicato nel 1957, conserva una straordinaria attualità, perché è un libro sulla scuola che si può anche leggere come un libro sulla vita, e in particolare sulla vita italiana, sul popolo italiano nel secondo dopoguerra, per l’ovvia ragione che la scuola è un pezzo fondamentale della vita, e che da come una comunità si prende cura della sua scuola è possibile dedurre molto di ciò che quella comunità ritiene sia il giusto modo di vivere la vita associata.

Ciò che colpisce sempre in Giunta, oltre alla sua analisi lucida, al suo argomentare stringente, è la totale libertà di pensiero, sgombro da pregiudizi di ogni sorta, totalmente antimanicheo.

Lo spunto viene da una domanda, rivolta al nostro autore durante un incontro all’interno di un istituto scolastico. Una ragazza pose la questione che dà il titolo al libro. La studentessa, però, fu prontamente zittita dal preside dell’istituto: “Ma con queste provocazioni la vogliamo smettere?!”. Per Giunta, invece, quella domanda è un’occasione per riflettere su tutto il nostro sistema educativo, con le sue contraddizioni, le sue complicazioni, la retorica che condisce di verbosità le circolari ministeriali e talvolta informa di sé anche i gesti e le parole degli insegnanti, che devono trasformare quelle disposizioni normative in attività didattica. E di tutto ciò, la recente normazione dell’insegnamento dell’educazione civica – normazione di cui non si sentiva minimamente l’esigenza – rappresenta l’emblema del nostro tempo e del nostro sistema scolastico.

A tal proposito, Giunta parla della legge che introduce l’insegnamento dell’educazione civica, come di una legge sconnessa dalla realtà, perché  indica obiettivi mirabolanti, non commisurati né alla forza degli insegnanti né a quella degli studenti, un campionario di eccessi, un continuo esercizio di irrealtà. L’analisi del nostro autore è puntuale e minuziosa, direi quasi spietata: passa al setaccio ogni parola (in certi passaggi svolge una vera e propria analisi lessicale del testo), le finalità e gli obiettivi indicati dalla legge e conclude: che strana materia scolastica, quella che anziché comunicare nozioni o idee promuove attitudini ritenute virtuose e scoraggia le attitudini contrarie; che strana scuola quella che anziché proporsi di istruire si propone di persuadere e, persuadendo, di mobilitare.

Tuttavia, facciamo finta che vada bene così. Gli italiani, è stato detto, posseggono “un’incommensurabile capacità di vivere sulle finzioni”, e non c’è forse ambito della nostra vita sociale in cui questa disgraziata virtù si manifesti con più forza che nella scuola: qui davvero è vertiginosa la distanza tra ciò che si predica e ciò che umanamente si può fare, e ciò che quotidianamente si fa. Questa continua “finzione”, secondo Giunta, ha una conseguenza: oltre ad influire sulla formazione degli studenti, questo sfrangiamento finisce per intaccare l’anima degli insegnanti, che si vedono trattare non come intellettuali ma come impiegati generici, non come detentori di un sapere personale ma come pezzi di un ingranaggio che del sapere personale può benissimo fare a meno. Se la corretta compilazione del PAI è più importante delle poesie di Montale, perché mai uno dovrebbe darsi la pena di studiare?

E alla domanda del titolo? Cosa avrebbe risposto il prof. Giunta alla ragazza aspirante fascista intelligente, se il preside non fosse intervenuto a chiudere bruscamente il discorso?

Lo Stato e la scuola non dovrebbero impedire all’aspirante fascista intelligente di diventare una fascista intelligente, ma dovrebbero agire in modo tale da non fargliene venire la voglia, e prima della voglia l’idea. Di fatto, la cosa che mi spiace di più nella domanda – conclude Giunta – non è la parte sul fascismo, è la parte sul voler diventare. Non voler diventare niente, le direi. Aspetta, prenditi il tempo per ascoltare e cambiare idea, anche più di una volta. E se poi diventerai una fascista intelligente, benissimo. Di intelligenza c’è sempre bisogno, da qualsiasi parte venga. Perciò accomodati: goditi la tua libertà di scegliere in una società liberale.

E la conclusione, più intelligente, acuta ed anche ironica di così non poteva essere.

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