“Le metamorfosi” – F. Kafka

Tutti hanno letto Kafka, anche chi non ha letto Kafka. Le sue Metamorfosi, infatti, fanno parte di quel bagaglio culturale che pressoché tutti possiedono: chi non ha mai sentito parlare del racconto sul tizio che diventa uno scarafaggio? Gusto per l’orrido e disgusto fanno poi il resto nel creare un’aura di miticità attorno a questo racconto. Questa è un’arma a doppio taglio: sicuramente al fu Kafka farebbe piacere sapere della fama raggiunta, ma al tempo stesso in pochi leggono davvero il suo racconto perché “tanto si sa già cosa succede”.

Sì, un tizio diventa insetto, ma non finisce lì…

Per certi versi le cose stanno in effetti così: la premessa è quella, la metamorfosi di un povero disgraziato in insetto. Quello però è solo il punto di partenza. La cosa più interessante (e meno nota) sono le reazioni del resto della famiglia dopo la metamorfosi. Su questo si concentra la penna arguta e disincantata di Kafka. Il processo di disumanizzazione, subita e percepita, del protagonista è il vero orrore del racconto, non la metamorfosi.

Il finale è amaro, anzi amarissimo: come negli altri racconti di Kafka (leggere per credere) non si apre nemmeno un barlume di luce e di speranza. Il mondo è indifferente e gli esseri umani oscillano tra l’ipocrita, l’ignorante e l’apertamente malvagio. Per questo Kafka non è piacevole da leggere, ma fa comunque bene e spinge a riflettere. Chi siamo noi? Siamo l’insetto, siamo quelli che lo ignorano, quelli che lo spingono via? Ci sono alternative? Come possiamo liberarci dal circolo vizioso di dolore e crudeltà? Sì, Kafka non è piacevole, ma ogni tanto fa bene leggerlo.

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