“L’abolizione dell’uomo” – C.S. Lewis

C.S. Lewis è noto soprattutto come autore della godibilissima saga fantasy “Le Cronache di Narnia”, ma solo a scavare un po’ di più nella sua bibliografia si trovano facilmente delle perle nascoste. Sì, perché oltre a essere un buon narratore, Lewis era anche una delle menti logiche più brillanti che il secolo scorso abbia vantato. In questo saggio, L’abolizione dell’uomo, ne abbiamo una chiara prova. Di cosa parla? Della necessità di non perdere di vista il proprium della natura umana e di difenderlo dall’avanzata incontrollata della tecnica.

Cos’è questo proprium? Lewis lo chiama Tao e indica con esso la convergenza dei sistemi valoriali di diverse culture. In un periodo di relativismo diffuso e intollerante è davvero un sollievo leggere delle pagine così chiare, così precise: nella stragrande maggioranza dei casi gli esseri umani sono stati d’accordo nel giudicare cosa è bene e cosa è male. Questa è LA natura umana, il senso morale dell’umanità, che può progredire e affinarsi, ma non contraddirsi.

Lewis in tenuta da battaglia pronto a esercitare le sue doti di polemista

In questo senso morale si trova insita anche la dignità dell’uomo. L’uomo è in grado di giudicare il mondo e la realtà che lo circonda, di vedere il bene e il male e di compiere delle scelte. Quando con l’uso della tecnica e della scienza si vuole cambiare l’uomo (o perché si ritengono obsoleti i suoi valori morali , o perché si vogliono costruire delle utopie) ecco che cominciano i problemi. La scienza non diventa più uno strumento al servizio dell’umanità, ma un instrumentum regni  usato da alcuni uomini per sopraffarne altri. Sono passati decenni da quando Lewis metteva in guardia contro la disumanizzazione della tecnica  e siamo ancora lontani dalla completa abolizione dell’uomo, ma la direzione in cui si procede non spinge all’ottimismo.

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