“Il pane sotto la neve” – Vanessa Navicelli

Lo confesso: ho un’intensa passione per i romanzi storici, in particolare per le vicende umane che si intrecciano con gli avvenimenti del Novecento. Se poi queste vicende hanno a che fare con la cultura popolare contadina – che è la mia cultura d’origine – mi intrigano ancora di più. Così non resisto mai ad un libro che mescoli questi elementi: alcune pubblicazioni risultano piuttosto comuni, altre interessanti, qualcuna emozionante. A quest’ultima categoria appartiene la storia che Vanessa Navicelli racconta ne Il pane sotto la neve.

Il romanzo mi ha attirato fin dal titolo, ricordandomi un detto piuttosto comune, un tempo, tra gli anziani contadini: sota la nev pan, sota la pioa fam…cioè sotto la neve, pane; sotto la pioggia, fame, ad indicare l’importanza del riposo del grano sotto la coltre nevosa invernale, in attesa della primavera, quando i timidi fili del prezioso cereale germogliano e successivamente diventano ricche e corpose spighe.

Il romanzo è la saga di una famiglia, che ha origine da Battistino e Cesira, poveri mezzadri agricoli, e copre un arco temporale che va dai primi anni del ‘900 fino alla tremenda e meravigliosa primavera del 1945. L’ambiente è quello padano, sulle rive del fiume Po, in un luogo non ben precisato, tra l’Emilia Romagna e la Lombardia.

Ho cercato di raccontare – scrive nella sua introduzione l’autrice – un mondo e una felicità fatti di piccole grandi cose. Tra politica e apparizioni della Madonna, canzoni degli alpini e orgoglio partigiano, la musica di Verdi e le passeggiate lungo il Po, innamoramenti inattesi e le gare ciclistiche di Bartali e Coppi, le recite di Natale in parrocchia e un bicchiere di vino all’osteria. Volevo ricordare le nostre radici, chi siamo e quanto ci è costato arrivare fin qua.

Trovo che questa dichiarazione dell’autrice pecchi un po’ di modestia. La Navicelli, in realtà, fa ben di più. Il libro mescola tensioni profonde, storiche e personali, con il saggio umorismo contadino; i personaggi sono dipinti benissimo, a tinte chiare e nette, seppur nelle mille sfumature delle loro personalità, e sono personaggi reali, coerenti, nei quali palpita la vita e la storia.

La scrittura di Vanessa Navicelli è essenziale, semplice, all’inizio non cattura immediatamente perché è schietta, non blandisce il lettore, è un po’ come il mondo contadino: apparentemente ruvido, brusco, freddo nella sua essenzialità, ma poco a poco si scioglie e rivela la sua ricchezza. L’autrice racconta molto e descrive solo quanto basta; i personaggi si definiscono attraverso le loro azioni, come nella realtà. Così, dopo la lettura un po’ timida delle prime pagine, in cui si entra in punta di piedi e col cappello in mano, si finisce per diventare uno “di famiglia” e si vivono, senza filtri, i sentimenti di Tino e Cesira e delle loro figlie Rosa, la più piccola, ed Emma, detta “la garibaldina”.

Il pane sotto la neve è stato finalista al Premio Letterario Rai “La Giara” 2012 e, nelle intenzioni dell’autrice, è il primo libro di una serie, La saga della Serenella, nome con il quale in campagna si chiama la pianta di lillà. E così, nel 2019, è stato pubblicato anche il secondo libro della saga, dal titolo Una domenica, mamma…, romanzo con il quale l’autrice ha vinto il Premio letterario Giovannino Guareschi.

So già che non resisterò…confesso subito anche questo.

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