“Il calamaro gigante” – F. Genovesi

Lo dico subito per togliermi dall’impiccio: Il calamaro gigante mi è piaciuto, ma non come avrei voluto. Dopo la celestiale esperienza di Cadrò. Sognando di volare, mi aspettavo mari e monti dal nuovo romanzo di Fabio Genovesi. Giocando con il titolo, potrei dire che ci sono solo i mari e che manca di conseguenza una parte dell’equazione, cioè proprio quei monti che avevano esaltato il precedente romanzo e il suo protagonista, Pantani.

Genovesi scrive un romanzo che è cronaca, storia e autobiografia. Ripercorre i primi avvistamenti del calamaro gigante (o kraken) e li intreccia a vicende personali o fintamente personali che a conti fatti poco o nulla aggiungono al cuore del racconto e, anzi, mal si amalgamano ad esso. Manca insomma una certa fluidità nella narrazione e quel filo rosso che dovrebbe tenere insieme tutte le parti – per quanto diverse esse siano – risulta spesso sfilacciato.

L’ultimo capitolo è emblematico. La narrazione si interrompe, i riferimenti personali saltano e pure il calamaro gigante passa in secondo piano. Al loro posto Genovesi comincia una riflessione ambientalista che è sacrosanta e inappuntabile, ma che non c’entra praticamente nulla col resto. Peggio: pare appiccicata in coda al libro ex post, per aggiungere un’ulteriore decina di pagine a mo’ di conclusione.

La prosa di Genovesi è scorrevole e piacevole e non capita tutti i giorni di sentir parlare di calamari giganti. Peccato aver rovinato tutto con una struttura traballante.

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