“Gli dei notturni” – D. Soscia

Volessimo fare una sintesi linguistica, sintattica e formale dell’ultima raccolta di racconti di Danilo Soscia, verrebbe fuori una cosa del genere: “mentre l’inverno si impiccava a un angolo di strada, inquietato dai rigurgiti di pensiero, tra la necessità di conficcare il braccio nella materia calda delle pieghe umide di una guerra mondiale…” eccetera, eccetera. Sono frasi estrapolate casualmente dal libro e “rimontate” ad hoc. Tutto molto bello, ben scritto, ma vagamente irritante nel suo essere così arzigogolato, così ricercato, così evidentemente artificiale. “Gli dei notturni” è anche questo.

Di che cosa parla? I quaranta racconti si barcamenano tra l’inutilmente astruso e un certo fascino ipnotico che non sai se dovuto alla stanchezza della lettura o alla gioia di vedere le pagine rimanenti assottigliarsi sempre più. Sono scorci fittiziamente autobiografici: fissano un certo momento storico di una (più o meno) celebre personalità, indagandone i risvolti psicologici e le pieghe umide del carattere.

Come per tutte le raccolte, alcuni racconti sono più riusciti di altri: su quaranta, più o meno cinque, e tutti raggruppati nella parte finale del libro. Quindi si può dire che vada in crescendo.
L’unica, magra consolazione.

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