“Apocalypse Never” – M. Shellenberger

Io sono abbastanza vecchio da ricordare che il petrolio dovrebbe essere finito da qualche anno.

Da bravo studente di scuola elementare ricordo di essere rimasto molto impressionato quando avevo letto nel libro di scienze che il mondo sarebbe rimasto a secco di petrolio entro il 2015. E invece, dimostrando uno scarso senso del dovere e poca collaborazione, l’oro nero non sembra intenzionato a finire e gli USA (un tempo assetati di petrolio in ogni parte del mondo) sono diventati il massimo produttore grazie a nuove tecniche di estrazione.

Tutto questo cosa insegna? Almeno due cose. Primo: allarmismo e sensazionalismo non servono a nulla (quando non sono addirittura controproducenti). Secondo: non si devono sottovalutare le capacità tecniche dell’uomo e la sua abilità di far fronte ai problemi con soluzioni innovative.

Anche il saggio di Shellenberger fa un esempio simile. Negli anni ’60 alcuni scienziati neomalthusiani avevano iniziato a fare previsioni apocalittiche sulla popolazione: il mondo, dicevano, non era in grado di mantenere più di 2 miliardi di abitanti e, a causa delle nascite eccessive, si dovevano aspettare carestie, guerre e disastri assortiti. Chissà la loro faccia nel sapere che ad oggi le moderne tecniche agricole permetterebbero senza problemi di sfamare almeno 12 miliardi di persone (e aspettate solo che in Africa arrivino fertilizzanti e trattori!).

Insomma, Shellenberger fa una distinzione importante nell’ambientalismo contemporaneo. Da un lato ci sono gli ambientalisti apocalittici, quelli che predicono la fine del mondo ogni cinque minuti e catastrofi assortite se non si fa immediatamente tutto quello che dicono. Dall’altro invece gli ambientalisti umanisti, che mirano alla conservazione della natura ma anche alla prosperità umana.

Amare l’uomo per amare la natura

I primi sembrano essere mossi da uno zelo religioso e dogmatico che ha al suo vertice l’idea secondo cui l’uomo è sbagliato e la Natura starebbe meglio senza di esso. Per di più, questa nuova religione non diffonde serenità, pace, generosità e spirito di sacrificio, ma ipocrisia, demonizzazione degli avversari, ansia e depressione (soprattutto tra i giovani, spesso soggetti passivi a propagande apocalittiche).

Il secondo tipo di ambientalismo, invece, cerca di basarsi sui fatti concreti, evitando preconcetti e idolatrie. Questo tipo di ambientalismo si rende conto, per esempio, che la costruzione di un gigantesco impianto idroelettrico lungo il fiume Congo potrebbe, sì, avere ripercussioni negative su alcune specie animali, ma potrebbe fornire energia elettrica a basso costo a metà continente.

Questo tipo di ambientalismo si rende conto che nella produzione di energia elettrica la densità energetica è fondamentale. Da questo punto di vista l’energia nucleare non ha rivali perché con una ridotta quantità di uranio si possono produrre grandi quantità di energia senza rilasciare anidride carbonica nell’atmosfera (chissà come mai i principali gruppi “ecologisti” anti-nucleare sono finanziati da multinazionali petrolifere? Mah!).

Questo tipo di ambientalismo si rende conto che energia solare ed eolica non hanno un grande futuro e sono tenute in piedi da consistenti incentivi statali: non sono affidabili, hanno una densità energetica bassissima (per produrre la stessa energia di una centrale nucleare una centrale a energia solare ha bisogno di circa 450 volte più terreno) e devono essere affiancate da centrali a gas naturale per quando il sole non splende o il vento non soffia.

Questo tipo di ambientalismo ha prospettive positive per il futuro: l’inquinamento atmosferico ha raggiunto il picco 50 anni fa e sta diminuendo; la terra usata per la produzione di cibo diminuisce (grazie a forme di agricoltura e allevamento intensive) e foreste e boschi stanno ricrescendo in diverse aree del mondo; il numero di morti per fenomeni naturali estremi non è mai stato tanto basso nella storia; la crudeltà verso gli animali nell’allevamento sta diminuendo grazie all’impiego di nuove tecnologie; il riscaldamento atmosferico non dovrebbe superare (grazie all’impiego di gas naturale e nucleare al posto di carbone e petrolio) i 3° entro la fine del secolo.

Insomma, le cose stanno andando per il verso giusto. Non dobbiamo cambiare radicalmente il nostro stile di vita o immaginare la fine della civiltà umana, ma incoraggiare e sostenere (con il progresso tecnico e il comportamento individuale) dei trend che sono già in atto. Senza mai dimenticare che la misura che dovrebbe guidare ogni decisione e riflessione in campo ambientale è l’amore per i nostri fratelli umani.

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