“Decameron: decima novella della sesta giornata” – G. Boccaccio

Il Decameron è l’opera più celebre di Giovanni Boccaccio e una delle più importanti della letteratura italiana. Scritto nel XIV secolo – probabilmente tra il 1349 e il 1351-53 – raccoglie cento novelle, suddivise in dieci giornate. Boccaccio offre uno spaccato della società dell’epoca, unendo i valori dell’aristocrazia (come l’amor cortese) a quelli del ceto mercantile (come l’astuzia). Il libro racconta di dieci giovani che si ritirano in una tenuta di campagna poco lontano da Firenze per sfuggire dalla peste nera, che si sta diffondendo in tutta Europa. Per non annoiarsi, decidono di raccontare delle novelle, spesso di taglio umoristico e a sfondo erotico o ironico nei confronti delle istituzioni dell’epoca: per questo il Decameron fu a lungo censurato.

La sesta giornata del Decameron ha come tema centrale la capacità di avere la risposta pronta ed arguta al fine di togliersi da una situazione poco favorevole. L’ultima novella della giornata è raccontata da Dioneo. Protagonista è Frate Cipolla, un uomo non certo colto, ma dotato di una gran capacità retorica. Una domenica il frate annuncia che alla predica del pomeriggio avrebbe mostrato al popolo una piuma dell’arcangelo Gabriele, cadutagli durante l’annunciazione. Due giovani del paese, volendo fare uno scherzo al povero frate, decidono di rubargli la penna per metterlo in imbarazzo davanti a tutto il popolo. Perciò si intrufolano nella dimora del frate e rubano la piuma lasciando al suo posto un pezzo di carbone.

Alle tre del pomeriggio la Chiesa è piena di gente che attende di vedere la piuma. Il frate comincia dunque la predica e aperta la scatola trova il carbone. Inizia quindi a raccontare dei suoi viaggi in Oriente. Racconta di come il patriarca di Gerusalemme gli avesse mostrato tutte le reliquie e gliene avesse regalate alcune, tra cui un carbone del rogo in cui arsero vivo S. Lorenzo. Frate Cipolla sostiene che il carbone e la piuma fossero in due scatole uguali e che Dio gli ha fatto prendere quella contenente il carbone per ricordare al popolo che pochi giorni dopo ci sarebbe stata la festa di S. Lorenzo. I fedeli credono alla leggenda del frate e lasciano numerose offerte. Finita la Messa i due giovani, per la bravura dimostrata dal frate, decidono di restituirgli la piuma.

Sia Salviati che Borghini intervengono sulla trama di questa celebre novella. Il primo rende il frate un semplice impostore senza nessuna carica ecclesiastica, mentre il secondo lo rende un comune laico del paese. Se in Borghini la censura non è pesante, al contrario l’edizione Salviati muta notevolmente il testo ma soprattutto il finale, secondo cui l’impostore morirà in prigione per ordine del Vescovo di Firenze. Così facendo la novella non rispetta più il tema della giornata (uscire da situazioni pericolose grazie alla capacità oratoria) aprendo così un’enorme contraddizione.

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